Mentre ero sul volo che mi riportava nel vecchio continente, ho pensato a diverse cose che ho imparato viaggiando in California negli ultimi due anni.
Prima cosa. Agli americani non piace l’illuminazione pubblica. Forse sarebbe più esatto dire che gli americani non concepiscono proprio il concetto di “cosa pubblica” ma non voglio addentrarmi in superficiali considerazioni di politica economica quindi mi limiterò alla sola esperienza diretta. Fatta esclusione delle grandi città, dove l’illuminazione artificiale prevarica ogni umana propensione all’oscurità notturna, nei paesi della vasta Bay Area dopo le 20 scende il buio cosmico. Per questo motivo, camminare da un punto A ad un punto B è consentito praticamente solo ai gatti o ad altre bestie a cui la natura abbia donato capacità di visione notturna. Tu umano puoi chiamare Uber che per 5$ ti fa percorrere in macchina 500 metri senza rischiare la morte.
Secondo punto. L’insegnamento di cui sopra è direttamente collegato alla seconda lezione statunitense: camminare. Say it again, camminare? Tralasciando anche per questo punto le grandi città, non tutti i paesi medio grandi sono dotati di marciapiedi. In alcuni esistono, ma sono di pertinenza della casa di fronte per cui, quando girovaghi per un centro abitato, hai sempre la sensazione che qualcuno ti stia spiando da dietro le tende con un fucile in mano pronto a rivendicare il proprio diritto a difendere la tanto amata proprietà privata. Oltre al fatto che, per chi vive in questi paesi, diventa assoluta normalità usare la macchina per fare il suddetto percorso dal punto A al punto B. Poi si ammazzano di corsa, palestra, beach volley(ball), surf, yoga, cross fit e whatever ma camminare per le cose della vita quotidiana, why would you do that? Sarà anche per questi primi due punti che il lavoro più gettonato nella Silicon Valley ormai è il driver di Uber. Alla faccia di startup e Venture Capital.
Tre. Il cibo. La California è healthy, niente da dire. Frutta e verdura abbondano in ogni supermercato e take away, una altissima percentuale della popolazione è in forma e il fast food è il ghetto dei messicani senza permesso di soggiorno. Ma c’è una cosa subdola che i californiani non riescono proprio a scrollarsi di dosso, è qualcosa che fa parte del background US, come un marchio a fuoco, un’informazione genetica contenuta nel DNA: le salse. Possono spendere $30 per mangiare un’insalata perfettamente bilanciata tra carboidrati, fibre, proteine e grassi ma se non la caricano con mix di salse e spezie che nasconda ogni ricordo del sapore vegetale, non riescono ad affrontarla. In pratica mangiano insalate che sanno, a seconda dei gusti, di chicken tikka masala o di finely chopped cilantro garlic sauce. Tasty, indubbiamente. Ma forse non si dovrebbe chiamare insalata.
Quattro. Scordatevelo, là non esiste la privacy. Troverete ovunque simpatiche insegne che vi diranno di sorridere “You’re on camera”. Ma questo non è un problema, il vero dramma sorge nel posto che la nostra cultura ci ha portato a considerare tra i più intimi in assoluto: il bagno. Per evitare ogni pericolo di sexual harassment, credo, nei luoghi pubblici e nelle aziende progettano bagni con porte con giunzioni talmente ampie che fai pipì guardandoti negli occhi e chiacchierando con la persona che sta aspettando di entrare dopo di te. Quasi un cliché per una donna. Ma si narra di individui che, per superare l’imbarazzo di espletare le naturali funzioni corporee post prandiali, vanno in bagno indossando cuffie (rigorosamente wireless di ultima generazione) e ascoltando musica a palla con l’obiettivo di creare l’illusione di una tanto agognata intimità con se stessi. Ça va sans dire che gli stitici in California hanno vita difficilissima.
Cinque. Ti salutano ovunque. Per strada o alle casse di un supermercato trovi sempre qualcuno che ti sorride e ti chiede come va. Dopo qualche episodio in cui ho iniziato a raccontare la mia disastrata situazione sentimentale fatta di uomini con vari profili di indisponibilità e la memoria di criceti con deficit di attenzione, ho capito che gli americani sono sì molto cordiali, ma anche che “How are you doin’ today?” è sinonimo di un semplice hey e che a nessuno frega un ca**o della tua vita. Esattamente come a casa.
Casa che ho lasciato 10 giorni fa con un filo di malinconia perché “e se mi perdo qualcosa mentre sono via?”. Malinconia che è sparita più o meno al check-in a Linate, se non già salendo sul taxi che mi avrebbe portato in aeroporto. Perché insieme ad ogni stranezza americana, con ciascun viaggio imparo che l’unica a cambiare realmente sono proprio io, mentre Milano, Verona, la casa, gli amici, il pub proseguono spesso con la routine di sempre, rimanendo sostanzialmente invariati.
Come il lavoro. Ah, e anche come gli stronzi. Quelli sono sicura di ritrovarli sempre presenti e irrimediabilmente identici a loro stessi.