Se dovessi riassumere la mia estate potrei dire che ho camminato. Dopo mesi passati a studiare e sognare la via Francigena sulla carta, è bastato il là di un’amica durante una video su Zoom per avviare la macchina organizzativa del mio cervello.
Era appena finito il lockdown, i miei occhi avevano bisogno di vedere un orizzonte che superasse il palazzo di fronte e le mie gambe sognavano di muoversi libere attraverso prati e colline arse dal sole.

Con un pizzico di ingenuità e qualche grammo di coraggio, a luglio ho preparato lo zaino e preso il treno per Firenze. Lì ho incontrato due amiche, insieme siamo salite su un Regionale per Fucecchio e poi su un autobus che ci ha portato al centro di San Miniato.
Appena scesa dal bus ho cercato per le strade indicazioni della via Francigena: sentivo la responsabilità di individuare il percorso e sapermi orientare. Avevo proposto io quel cammino ed ero probabilmente l’unica ad averlo studiato. Era un’esperienza che affrontavo per la prima volta e non avevo nessuno che potesse guidarmi.
Con lo stesso spirito di chi si prepara ad affrontare il deserto, ho costretto le mie amiche a caricarsi di almeno due litri di acqua ciascuna, a fare provviste di frutta secca e disidratata e a mangiare carboidrati per cena, spiegando che ci avrebbero dato le energie necessarie per il 25km della prima tappa. Ça va sans dire, i carboidrati sono la cosa che ha incontrato meno resistenza.

Il programma prevedeva di percorrere in due giorni i circa 40 km tra San Miniato e San Gimignano, con una tappa intermedia all’ostello Sigerico di Gambassi Terme, e considerata l’inesperienza in fatto di cammini posso serenamente affermare che sia stato un successo. Il nostro passo era ritmato, il caldo sopportabile, la pioggia ci ha sfiorato senza fare danni, abbiamo trovato un rifornimento di acqua lungo la via, il cibo è stato sufficiente. L’arrivo a San Gimignano dopo la seconda e ultima tappa è stato annaffiato di vernaccia e condito dalla prima scaramuccia tra amiche che litigano come sorelle. Una gioia per il cuore.
L’esperienza mi è piaciuta talmente tanto che ho deciso di sfruttare le vacanze di agosto per continuare il percorso lungo la via Francigena toscana, riprendendo il cammino da San Gimignano per arrivare fino a Siena. Tre tappe non eccessivamente lunghe, ma stancanti considerando le temperature cocenti di agosto.
Ho affrontato questa seconda partenza con una consapevolezza in più. Avevo un’idea più precisa di cosa mi sarei dovuta aspettare, mi ero resa conto di cosa sarebbe stato indispensabile e di cosa avrei potuto fare a meno. Avevo uno zaino più tecnico, delle scarpe super collaudate, borracce più leggere. Sapone di marsiglia che mi sarebbe servito per lavare i vestiti e le frivolezze si riducevano ad un vestito di cotone nero da utilizzare mentre pantaloncini e maglietta gocciolavano al sole.
Perché quando sei in cammino, sono due le cose importanti da considerare: le scarpe che indossi e lo zaino che porti sulle spalle. Le prime perché decidono su quale lato camminerai del labile confine tra un trekking piacevole e le unghie dei piedi martoriate; il secondo perché sarà per giorni tutto il tuo mondo e devi sapere bene che cosa vuoi portare con te.
So di dire una banalità affermando che la stragrande maggioranza delle persone che decidono di affrontare un cammino si preparano leggendo guide e libri, o informandosi su internet attraverso le esperienze degli altri viandanti. Qualsiasi ricerca su google vi restituirà centinaia di siti che dispensano consigli sul tipo di scarpa e di zaino, e su quanto sia fondamentale da un lato avere calzature collaudate, dall’altro ridurre il peso del bagaglio al minimo indispensabile.
E dato che questi sono due pilastri del comune buonsenso, la sottoscritta non poteva che avere esperienze peculiari a riguardo.
Esperienza 1: le scarpe. Stavo percorrendo la seconda delle tre tappe tra San Gimignano e Siena, quella mi avrebbe portato da Colle Val d’Elsa a Monteriggioni, e avevo appena finito di elogiare le scarpe che indossavo – calzature da trekking estivo morbide e resistenti, super collaudate e praticamente indistruttibili – quando ho avuto la fastidiosa sensazione che qualcosa si fosse incollato alla suola. Guardandomi i piedi mi sono accorta che era la suola stessa ad essersi staccata per metà dal resto della scarpa e che stavo correndo il rischio di perderne un pezzo. Attingendo a tutto il repertorio di puntate di MacGyver e maledicendomi per non aver ascoltato mio padre che aveva saggiamente consigliato di acquistare delle fascette dal ferramenta (“Possono esserti utili per mille cose!”), ho usato i lacci per tenere la suola il più possibile aderente al resto della scarpa. Dopo pochi metri, ho trovato a terra sul sentiero un elastico nero, caduto provvidenzialmente da una tasca.

L’ho infilato al piede per far aderire bene scarpa e suola e ho proseguito senza intoppi fino alla meta. Una volta arrivata in ostello, ho ragionato sul da farsi e optato per recuperare un paio di vecchie scarpe da ginnastica che avevo lasciato in macchina al “campo base”, convinta che le avrei usate solo nella seconda parte della vacanza. Un “vero” viandante avrebbe corso il rischio di proseguire con l’elastico ai piedi, o forse avrebbe optato per usare le ciabatte? Forse si, ma sono molto serena nell’ammettere che nè lo spirito di sacrificio né quello di abnegazione in fondo mi sono mai appartenuti. Forse non sono una vera viandante, ma sono decisamente in pace con me stessa.
Esperienza 2: lo zaino. Viviamo in un momento storico il cui mantra è “lasciar andare il non necessario”. In cui siamo bombardati di messaggi che ci invitano ad alleggerire le zavorre e far volare il nostro spirito verso la realizzazione di sé, passando necessariamente per il distacco da tutto ciò che ci tiene ancorati a terra. Bene, portando per giorni la mia casa sulle spalle, ho scoperto che quello che altri reputano superfluo per me può essere necessario. Ho scoperto e imparato che il commento di chi giudica superfluo un balsamo per capelli può serenamente scivolarti sulla pelle, perché nessuno tranne te conosce il peso che le tue spalle vogliono e possono sopportare.
Insomma, in questa estate di lunghe camminate, dove mi sono misurata con i chilometri, il caldo, e la strada mal segnalata, ho perso interesse per il giudizio degli altri. Ho capito che so perfettamente quali sono i miei limiti ma soprattutto che nessuno può insegnarmi cosa, quanto e quando lasciar andare. Ho scoperto di avere spalle forti che mi danno la possibilità di concedermi esperienze che altri non capiscono e ho scelto che quelle esperienza voglio godermele tutte. Ho scoperto che nella vita può sempre succedere qualcosa che non avevo previsto, ma che in fondo il mio spirito di adattamento non è così scarso come pensavo. E soprattutto ho capito che, no matter what, ci sarà sempre qualcuno a farmi da terra ferma quando il mondo mi crolla sotto i piedi. E che io prima o poi ricambierò il favore, no matter what.

❤️❤️❤️
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