In picchiata

Domenica scorsa stavo guidando la mia C3. 13 anni di onorato servizio, 180 mila chilometri portati più che dignitosamente, piccola e dalle linee morbide, sapeva di casa. La stavo guidando e sapevo che non sarebbe più successo: di lì a poco l’avrei lasciata in una concessionaria, dove cercheranno di venderla. Vero, cominciava ad avere qualche acciacco, ed erano diversi anni che mi chiedevo per quanto tempo sarebbe rimasta al mio fianco, però è difficile pensare di abbandonare una compagna fedele, lo capiscono tutti, no? 

Lo capivo anch’io fino a quando, un giorno, ho visto un’altra auto che mi è piaciuta moltissimo e ho cominciato a fantasticare su come mi sarei sentita a guidare una macchina così diversa. Ho provato a ragionare in termini di sicurezza alla guida, solidità, razionalità dell’investimento. Tutti elementi importanti, non c’è dubbio. Ma il punto è che ci ho fatto un giro in strada, e l’incastro funzionava perfettamente. Certo, aleggiavano nell’aria un certo numero di incognite: guidarla tredici minuti non è come stare insieme 13 anni, ma certe affinità le senti d’istinto, no? Come in amore, quando ti guardi negli occhi e per qualche strano motivo sai di voler passare del tempo con quella persona. 

Domenica scorsa, mentre guidavo la mia C3, mi sono chiesta quanto coraggio serva per fare qualcosa per l’ultima volta. Quando ci si lascia un pezzo di vita alle spalle. Quando si saluta qualcuno che non si rivedrà più. E mi sono detta che quel tipo di coraggio non è una cosa da tutti, perché ce ne vuole davvero tanto anche solo per ammettere che certi cambiamenti non si fanno per un reale malessere, perché una macchina è realmente arrivata al capolinea, ma perché qualcosa di diverso ci emoziona e questo, ad un certo punto nella vita, vale tutto. 

Porto con me ogni esperienza fatta insieme alla mia C3. Le sarò per sempre grata di avermi portato in giro per l’Italia, di aver affrontato con coraggio acrobatiche retromarce su strade di campagna, di non avermi giudicata mentre stonavo a squarciagola per centinaia di chilometri, di aver nascosto da occhi indiscreti fiumi di lacrime e di avermi sempre protetta, lungo il viaggio e negli incidenti di percorso. Ci sono cose e persone che ci accompagnano per lunghi pezzi di strada e avranno sempre un posto nel cuore. Qualcuno anche nella vita. Ma sono cose o persone che, in qualche modo, bisogna avere il coraggio di lasciar andare, in parte per una banalissima necessità di ricercare un nuovo che emozioni, in parte perché rimanere inchiodati alle abitudini per paura del cambiamento rischia di diventare una fonte di intollerabili rimpianti. 

Insomma, ho rischiato. Anche se l’acquisto della mia nuova macchina è stato a scatola semichiusa, in un momento in cui le placche tettoniche della mia vita stanno producendo rumori inquietanti. Ma seguo sempre l’istinto ad occhi chiusi, e anche stavolta ho accettato la scommessa. Perché certi racconti arrivano ad un capolinea, alle volte per sfinimento, altre perché semplicemente la vita ti presenta delle occasioni che, pensi, potrebbero farti sentire di nuovo viva e allora prendi il coraggio a due mani e le cogli, anche se non arrivano nel momento perfetto, anche se fanno paura, anche se probabilmente scombineranno le carte di più di un tavolo.

E forse non è un caso che questa svolta arrivi a dicembre, un mese che vorrei solo passasse in fretta, insieme al traffico impazzito in città, alla frenesia degli inutili regali di Natale, ai fiumi di gente che si riversa per le strade, ai locali sempre pieni anche il lunedì sera, ai “Cosa fai a capodanno?”. Forse non è un caso che io sia riuscita ad intravedere proprio adesso la possibilità di iniziare un nuovo racconto, chiudendone uno che era pieno di incertezze.

Come in amore, in cui a certi bivi si misura il vero coraggio di chi ama. Il coraggio di guardare in faccia la realtà, di dare un nome preciso a ciò che ti sta accadendo e, soprattutto, di non abdicare alla speranza che dopo la picchiata si possa riprendere quota per vedere di nuovo la bellezza.

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