Al crocevia della maturità

Eccomi qui, al crocevia della maturità, mentre imbocco con fierezza la strada verso una vecchiaia da rompicoglioni. 

Chi è senza peccato scagli la prima pietra, mi son detta da sola, ma nonostante io sappia con certezza di essere stata colpevole in passato, una cosa sento di doverla dire. Ad alta voce, come ad alta voce mi è uscito quel “adesso però togli dal cazzo il telefono” durante il concerto di Einaudi domenica sera.

La povera bionda destinataria della mia rimostranza ha provato a far scontrare due neuroni per difendere la propria posizione ma le è uscito uno sconnesso “siamo in un teatro pieno di gente”. Spiegarle che a darmi fastidio non era la gente, ma il suo cellulare perennemente acceso lungo la direttrice che andava dai miei occhi al palco mi è sembrato un inutile spreco di tempo.

Dopo questo rimbrotto, grazie all’autocritica che mi infliggo costantemente, ho realizzato di aver spesso, ai concerti, rotto il cazzo a chi mi stava dietro per fare foto e video che avrei riguardato solo per scegliere quale postare su Instagram (o Facebook, nell’era geologica precedente). Ma proprio in virtù della consapevolezza di aver peccato in gioventù, rivendico il diritto di esprimermi contro una persona – pressoché della mia età – che costringe se stessa, da un lato, a 3 lunghi minuti di immobilità mentre otto musicisti creano quel vortice di meraviglia che è Run e me, dall’altro, ad assumere posizioni contorte per osservare il palco. Se lei ritiene accettabile perdere l’esperienza fisica di un concerto, che abbia almeno pietà per la mia schiena, perdio.

Mi sono però resa conto che questa piccola scaramuccia dice più cose di me di quante ne dica della povera malcapitata.

Prima di tutto, sto perdendo i filtri. Ho sempre avuto un linguaggio diciamo colorito, ma ormai non mi crea alcuna preoccupazione combinare il registro linguistico da scaricatrice di porto con quello della professionista della comunicazione. Spesso in contesti in cui il secondo sarebbe decisamente più appropriato. 

Secondo, sto diventando rissosa. Complici l’esaltazione data dal prendere a pugni un sacco due volte a settimana e l’epica reazione di una carissima amica nei confronti di un povero fesso che durante il dj set di Paul Kalkbrenner si era permesso di staccarle un brillantino dal viso (mai, dico mai, mettere le mani in faccia ad una ragazza di Baranzate), mi trovo a rispondere d’istinto a qualsiasi provocazione. Diretta, indiretta, volontaria o meno. Spesso senza curarmi che a farla sia un tossico incazzato, un piccolo spacciatore, la bigliettaia frustrata di Palazzo Reale o una wannabe influencer fuori tempo massimo.

Terzo, sono diventata grande. E sono definitivamente entrata nella fase della vita in cui si fanno i conti con la scarsità del tempo. E allora il pensiero di sprecarlo, il tempo – per causa propria o, soprattutto, per causa altrui – diventa intollerabile. 

Il tempo è sempre più scarso e io davvero non ho più tempo – aridaje – da regalare a cose e persone che non mi restituiscono sensazioni positive. 

E forse questa situazione, questo rimbrotto come l’ho chiamato prima, racconta di me anche una quarta cosa, che in un certo senso è strettamente collegata alla precedente. Racconta che non ho più bisogno di fare i salti mortali per far diventare quadrata una cosa tonda. La cosa tonda la accetto in quanto tonda e forse, in questo momento, gli angoli non fanno proprio per me. 

Poi domani vedremo, ma – adesso – io mi sento a posto così.

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